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Volevo un tappeto 24.

 

GIOVANI E ANZIANI - Può anche capitare di essere scrutati da una anziana signora nell’area di attesa - una sorta di bar - di una stazione di servizio, di ricevere un sorriso e di essere invitate con un cenno della mano ad avvicinarsi. Mi è successo sulla strada che porta a Qom, la città santa nella cui moschea possono entrare soltanto i fedeli (in realtà non è difficilissimo intrufolarsi, basta velarsi, coprirsi e bardarsi con un chador nero - i più lavorati, con perle e ricami sulle maniche, li ho trovati a 25 euro, prezzo base da trattare). Dunque, sono in questa specie di autogrill dove il nostro pullman ha fatto sosta e sto curiosando tra gli scaffali pieni di pistacchi (favolosi) e albicocche secche, quando noto una anziana seduta su una seggiola, in un angolo, che mi osserva. La guardo. Mi guarda. Sorride. Ricambio. Mi fa cenno con la mano di andare da lei. Vado. L’intera famiglia ci circonda. Ci siamo detti le cose più normali, voleva sapere da dove venivo, dove stavo andando e, soprattutto, se mi piaceva la Persia. Non so perché, ma così come sono orgogliosi di essere persiani (guai a definirli arabi), sono altrettanto felici di sapere che il loro paese piace ai forestieri. Se poi si cerca di parlare dei divieti e degli obblighi imposti alle donne - il velo, l’impossibilità anche per le turiste di usare le piscine e le Spa negli alberghi, i percorsi separati per accedere alle moschee - la stragrande maggioranza rifiuta in pubblico di trattare l’argomento. Chi lo fa, è per difendere le leggi islamiche. E anche in questo caso rischia di essere malvista dalle anziane.

Mi è capitato la sera che siamo andate a vedere la Moschea della Luce a Shiraz. Eravamo appena entrate quando una giovane iraniana si è avvicinata e, in un inglese fluente, ha iniziato a conversare. Lei chiedeva, io rispondevo. Io chiedevo, lei spiegava. Ventisette anni, sposata, il marito di 36 anni, felice di essere incinta del primo figlio. E pronta a difendere il chador («Non dà nessun fastidio»), il nero imperante («Lo usiamo solo quando usciamo in pubblico, è un colore elegante, a casa ci vestiamo come vogliamo, abbiamo abiti colorati e in fantasia»), così come il fatto che la moschea alle undici di sera fosse piena di bambini (Non dovrebbero essere a letto? «Qui scaricano le energie»). Insomma, non stava dicendo nulla di compromettente. Eppure, ciò nonostante, le vecchie la guardavano male, una continuava a prenderla per il braccio e a insistere perché andasse via e la smettesse di parlare con noi turiste vestite in maniera improbabile, coperte e velate, certo, ma pur sempre colorate, troppo sgargianti per essere in pubblico e in una moschea. La giovane donna incinta non si è lasciata intimorire. Sarebbe andata avanti per ore.

Se poi si ha la fortuna - come abbiamo avuto noi - di andare a casa di un persiano e di essere ospiti della sua famiglia, si apprezza ancora di più la cordialità di questa gente. Quella che ci ha aperto le porte è una famiglia benestante, con una grande casa, un terrazzo all’ultimo piano pieno di piante e fiori dove abbiamo gustato l’anguria, e una cucina con un frigorifero all’ultimo grido. Fosse stato per loro, avremmo potuto restare in salotto fino a notte fonda ad applaudire le loro figlie che per noi si esibivano in danze e canti locali.

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