industria pesante
Io non ero così. Prima di venire a lavorare a Venezia mi ritenevo una persona educata. Gentile. In una parola: tollerante. Adesso non tollero quasi più nessuno.
Non sopporto i turisti che salgono in vaporetto con zaini sulle spalle grandi come una credenza e non stanno fermi un attimo, perché quel che vedono, da piazzale Roma a Rialto, è incommensurabilmente bello da meritare almeno un selfie e allora si girano, si voltano, si abbassano, si alzano, sempre con la credenza sul groppone e tu che gli sei accanto devi improvvisarti contorsionista per non prenderti una cassettata in faccia.
Non sopporto le comitive che intasano le calli e occupano i ponti e soprattutto le loro guide che non insegnano a tenere la destra. Che poi, sarà mica difficile.
Non sopporto i pedoni che a piazzale Roma attraversano sempre e comunque, senza curarsi neanche dei nuovi semafori (peraltro, non è che certi autisti dell’Actv siano poi così ligi a quei rossi).
Non sopporto gli zingari che sostano davanti ai parcometri di piazzale Roma col bicchiere di plastica in mano e ti senti costretto a dargli una moneta pensando che è meglio non rischiare di trovarsi l’auto rigata.
Non sopporto le code agli imbarcaderi, le resse quando arrivano i vaporetti stracarichi, i marinai che chiudono la catenella e ti dicono di aspettare il prossimo, che tanto è lo stesso caro bestiame identico a quello che ti è appena passato davanti.
Non sopporto i cestini delle immondizie straripanti di schifezze. E le merde dei cani sui masegni che ti obbligano a slalom con lo sguardo da strabico: un occhio giù a scansare le deiezioni, un occhio su a evitare che da un barbacane ti arrivi in testa lo schitto di un colombo.
Non sopporto neanche più i papà con i pinocchietti e la canottiera (sindaco Brugnaro, per favore, invece di ritirare le favole gender non potevi dedicarti al decoro e spiegare a questi scostumati della braga larga sotto il ginocchio che c’è di meglio per vestirsi?) che quando passano davanti a Ca’ Pesaro impartiscono strampalate lezioni ai figli (lo so, dovrei stare zitta, ma non ci riesco, e così ogni volta che i papà con i pinocchietti e la canottiera danno aria alla bocca, non riesco a non correggerli. E ogni volta mi sgrido e prometto: la prossima volta contare fino a duemilacinquecento).
E mi fermo qua. Con una considerazione amara: Venezia è stata una città che ha sempre avuto mescolanze di culture, etnie, religioni. Dovrebbe essere l’emblema della tolleranza. Non è possibile che "solo" perché arrivano venti milioni di turisti all’anno che nessuno prova a governare rischiamo di diventare noi per primi insopportabili.
Certi giorni
Ci sono giorni, nelle redazioni dei quotidiani, in cui lo spazio dove poter pubblicare le notizie è più piccolo di uno sgabuzzino in un monolocale. Mercoledì 8 luglio 2015 è stato uno di quei giorni.
La mattina era iniziata con l'Operazione Deserto: inchiesta della magistratura veneziana sull'ennesimo scandalo di mazzette in laguna, roba che una volta veniva etichettata come tangenti e adesso è salita di grado: dicasi "percentuale". La tesi degli inquirenti è che il direttore commerciale di Veritas - società pubblica che si occupa di acqua e 'scoasse' - abbia preso i a 'mandorla' per ogni appalto. Mister 2 per cento. Dunque, la giornata inizia con una apertura di pagina certa.
Un'altra pagina sarebbe stata dedicata a Giuseppe 'Bepi' Bortolussi, il segretario della Cgia di Mestre, già assessore a Venezia, già sfidante di Luca Zaia nel 2010, l'uomo che difendeva le partite Iva del Nordest esibendo numeri e calcoli inoppugnabili, sconfitto dalla malattia all'età di 66 anni. E già il funerale di Bortolussi nella chiesa di Camponogara avrebbe meritato un approfondimento: da tempo non si assisteva a un funerale che non sembrasse uno show, solo la cerimonia religiosa, niente discorsi, figuriamoci i palloncini, unico applauso quello nel piazzale della chiesa all'uscita del feretro.
Poi c'erano la Grecia, la Borsa tracollata in Cina, Berlusconi condannato a tre anni per compravendita di senatori, la Regione Veneto che aveva aperto i cordoni della borsa per gli assegni di fine mandato degli ex (2,7 milioni di euro). E poi il caldo: temperatura percepita 39 gradi, che vabbè che è estate però il fisico alla lunga schiatta. Ecco. Bastava, no?
E alle 17 che ti capita? L'inferno del vento, un tornado di livello 4, il penultimo della sfa. Case scoperchiate, macchine capottate, alberi sradicati. Un morto. Decine di feriti. Sfollati. La disperazione, l'urlo di impotenza di fronte agli eventi che non si possono né prevedere né controllare. La Riviera del Brenta tra Dolo, Cazzago e Porto Menai, in ginocchio.
Certi giorni, nei giornali, si fa e si disfa. Quello che la mattina pareva assolutamente prioritario scala al ribasso. E si rivede tutto. Come nella vita.
Ciao Bepi
Ciao Bepi
Giuseppe “Bepi” Bortolussi lo conobbi all’inizio degli anni ’90. Erano gli anni d’oro della comunicazione e, soprattutto, erano gli anni in cui una minuscola associazione di artigiani lanciava uno sparuto gruppo di “studiosi” per analisi e indagini di mercato. Soprattutto, per denunciare iniquità. La Cgia di Mestre, all’epoca, a livello nazionale era il niente: la classica associazione di periferia che riunisce artigiani, prepara le buste paga, fa un po’ di attività sindacale. Tutto questo, a Bortolussi, non bastava. Era segretario dell’associazione e il suo orizzonte non si fermava a Zelarino e Marghera, men che meno a piazza Ferretto, figuriamoci a via Torre Belfredo dove c’era la sede della Cgia. Sì, certo: gli iscritti, gli associati, andavano tutelati. Aiutati e accompagnati. Ma lo scopo della “sua” associazione era andare oltre: denunciare le storture del sistema, spiegare chi eravano i veri tartassati, dimostrare che le grandi società di capitali erano avvantaggiate rispetto ai piccoli. Riuscì a fare questo e quello. “Innalzare” i servizi a supporto delle categorie lanciando campagne che tuttora resistono, dal “Chi apre chi chiude” per informare sulle attività artigianali attive in pieno Ferragosto alle specialità artigianali tipo il dolce di San Martino. Ma non si fermò lì. Mise in piedi un Ufficio Studi dove solo i santi riuscirono a resistere per più di qualche anno. Perché Bepi, come tutti gli uomini di carattere, aveva un caratteraccio. Rude. Diretto. Ma franco. Ed esigente. Molto esigente. Una delle prime indagini riguardò appunto le società di capitali e nelle prime foto sui quotidiani nazionali Bepi finì immortalato nel suo ufficio di via Torre Belfredo con alle spalle il mitico pallottoliere. Bisogna dirlo: all’inizio non ci credeva nessuno. Ma lui, testardo, imperterrito, soprattutto convinto, continuò. In vent’anni riuscì in quello che tutti avevano considerato un miraggio: fare della Cgia di Mestre un punto di riferimento nazionale per analisi e denunce economiche, una sorta di “vangelo” da citare ai tg della Rai e di Mediaset, la notizia e l’approfondimento sicuro per i quotidiani del sabato sulla domenica, la certezza - soprattutto - di non essere mai contraddetti. Perché Bepi aveva tanti difetti, ma non quello dell’approssimazione. E la sua Cgia di Mestre, appunto, col tempo sarebbe divenuta una fonte autorevole. Un pungolo per qualsiasi Governo.
L’ultima volta che lo sentii fu lo scorso inverno. Sapevo della malattia. Dall’autunno, quando erano riprese le attività in consiglio regionale del Veneto, Bepi non si era più fatto vedere a Palazzo Ferro Fini. Difficile tacciarlo di assenteismo: non era da lui. Se una attività non gli piaceva, la mollava e basta. Non aveva bisogno di tergiversare o tentennare. Quando si stufò di fare l’assessore nella seconda giunta comunale di Venezia di Massimo Cacciari, perché capì che non poteva fare quello che voleva fare, se ne andò. Avrebbe fatto l’assessore un mandato intero dal 2005 al 2010 sempre con Cacciari e nel 2010 avrebbe accettato, pentendosene probabilmente, di fare il candidato governatore del Veneto contro Luca Zaia. Un suicidio. Col senno di poi, il miglior risultato possibile: non aveva il partito al fianco, non aveva alcuna gioiosa macchina da guerra a fiancheggiarlo, fatto sta che prese più voti lui cinque anni fa quando a Roma governava il centrodestra di Berlusconi con la Lega che Alessandra Moretti oggi con Matteo Renzi a Palazzo Chigi.
Un giorno ci farai vedere la tua collezione d’arte - gli dissi al telefono, speranzosa che le notizie arrivate dal suo entourage (sta male, sì, ma si sta riprendendo) ci restituissero il leone che era Bortolussi. Non si era ricandidato alle Regionali 2015. Ma lui c’era. Sempre. Ogni sabato mattina dalla Cgia arrivava la nuova analisi-denuncia. Quella di sabato 4 luglio riguardava il “mattone”, passato da bene rifugio a bene tartassato. “Siamo meno ricchi, ma paghiamo di più”, segnalava nella nota Bortolussi auspicando che la prossima riforma del catasto tenesse conto della situazione e che venisse scongiurata l’ipotesi di un ulteriore aggravio fiscale sugli immobili.
C’è chi ha tenuto il conto: negli ultimi vent’anni Bortolussi è stato protagonista di 1.340 notizie dell’Ansa. “L’importante è non sbagliare”, diceva Bepi, “Sono tutti lì che mi aspettano al varco con il fucile puntato. Per fortuna finora non ho beccato neppure una smentita”.
Giuseppe Bortolussi è morto il 4 luglio 2015. Il 4 agosto avrebbe compiuto 67 anni.
Porta a porta
"Grande Zaia l'hai asfaltata". "Grande Moretti vinci 4-0".
Ecco. Punti di vista diametralmente opposti. I due commenti sopra riportati sono tratti dai profili Facebook di Luca Zaia e di Alessandra Moretti. Due tra i tanti, ma rappresentativi della diversità di giudizio dei veneti che hanno guardato e commentato il Porta a Porta di Bruno Vespa che per la prima volta ha messo a confronto quattro candidati alla presidenza della Regione Veneto. E cioè il governatore uscente e ricandidato per Lega e Forza Italia Luca Zaia, la sfidante del Pd e del centrosinistra comprensivo di Sel, Verdi e i compagni veneziani di Rifondazione comunista Alessandra Moretti, l'ex segretario veneto della Lega Flavio Tosi che due giorni dopo essere stato cancellato dal Carroccio si è candidato presidente e avrà come compagni di viaggio i centristi dell'Ncd e dell'Udc, il maestro di sci vincitore delle Regionarie del Movimento 5 Stelle Jacopo Berti. La trasmissione è stata registrata ieri pomeriggio negli studi di via Teulada a Roma, ma è andata in onda tardissimo, sotto mezzanotte, peraltro dopo lo speciale sul decennale della morte di Papa Wojtyla. Io c'ero per Il Gazzettino, qui vi racconto un po' di dietro le quinte.
VIP - Per disposizioni di Porta a porta, i giornalisti non possono entrare nello studio di Porta a Porta. Per loro c'è una stanzetta vip che di vip ha solo il cartello attaccato sulla porta: dentro ci sono due divanetti e un tavolo più un monitor da cui si guarda la trasmissione. Come se si fosse a casa. La differenza è che la vedi in diretta e puoi scrivere subito il pezzo, senza aspettare mezzanotte quando le pagine del giornale sono già chiuse e in rotativa.
LOOK & STAFF - Li avete visti: Tosi in maniche di camicia. Berti in giacca senza cravatta. Zaia e Moretti con le rispettive consuete divise: lui con quella storica Iene-style, lei con quella simil ferrotranviere cucitale addosso per cancellare l'immagine della ladylike. Quanto agli staff, Moretti batte tutti: quattro al seguito. Zaia uno. Berti uno. Tosi nessuno (ma non è arrivato da solo, al fianco aveva la fidanzata senatrice Patrizia Bisinella).
SILENTI - Bruno Vespa non ha interrotto il match tra Zaia e Moretti, e si capisce: era show. Ma il vero silente è stato Tosi. Il sindaco di Verona è intervenuto poco, non si è quasi mai infilato negli scontri altrui, era rigido e con un muso lungo così. Berti, che di politica e tv ne ha masticate meno di tutti, è parso più agile e pronto.
SCHIERAMENTI - Vespa al centro, da un lato Tosi e Moretti, dall'altro Zaia e Berti. Sul profilo della Moretti è stata fatta la domanda: è stato un caso? Sicuramente è stata una scelta della redazione, ma è stata anche una scelta azzeccata: Moretti ha tolto le castagne dal fuoco a Tosi quando si parlava delle accuse dell'Antimafia su Verona, Berti ha dato man forte a Zaia sui repentini cambi di poltrona dell'ex deputata ed ex europarlamentare del Pd.
MATCH - Al di là dei giudizi su chi sia stato più bravo, il botta e risposta sul Mose tra Moretti e Zaia meritava di essere visto. Anche per farsi un'idea di come vengono condotte certe campagne elettorali: quasi o solo a colpi di slogan. Personalmente? Alessandra Moretti bella 'carica', ma troppo 'carica', a tratti indisponente. Luca Zaia non ha avuto la prontezza di ribattere quando Moretti gli ha detto che è "commissariato" e che in Veneto comanda Salvini: avrebbe potuto obiettare che il Pd (segreteria regionale, gruppo consiliare) sembra avere come commissario nientemeno che il guru della comunicazione della stessa Moretti. Jacopo Berti: ha l'aria del bravo maestro da sci ma gli va riconosciuto che talvolta riesce a infilarsi nei battibecchi con frecciatine puntute. Flavio Tosi: come la temperatura de L'Aquila ai tempi di Bernacca: non pervenuto.
UTILITÀ - A cosa è servito il Porta a Porta sulle elezioni in Veneto a due mesi dal voto? Ad accrescere la convinzione in chi già l'aveva che (fonte Fb) la signora Moretti è "saccente" o "bravissima" o che il signor Zaia "non poteva non sapere del Mose" o che "dopo Zaia solo Zaia"? Di certo, nei salotti tv in cui spesso e volentieri ci si parla addosso, spazi e tempi per confrontarsi davvero ed entrare nel merito dei problemi non ce ne sono. Quasi solo slogan, accuse, sciabolate (o silenzi). Un dato nuovo però è stato introdotto con la trasmissione di Bruno Vespa: grazie ai due sondaggi, praticamente coincidenti, di Ipr e Tecné, è stato rovesciato il "dogma" del distacco tra Zaia e Moretti introducendo l'idea dell'"incollatura". Vero o falso che sia, tanto che Zaia subito ha ribattuto dicendo che un sondaggio Swg gli dà sempre dieci punti di vantaggio, la percezione può cambiare. Il tema non è la validità di queste rilevazioni, ma l'idea che ne viene diffusa. E quella trasmessa da via Teulada è che la partita in Veneto adesso è apertissima.
Cognome e nome
Perché Luigi Brugnaro si firma Brugnaro Luigi? In una città come Venezia popolata da professoroni, qualche N.H. e, soprattutto, insofferenti alla campagna (che, notoriamente, inizia col Ponte della Libertà), il quesito è insistente: perché Mister Umana nonché patròn della Reyer si firma anteponendo il cognome al nome? È un "contadino"?
Premessa: Luigi Brugnaro è candidato sindaco di Venezia. Uno dei tanti nel fronte del centrodestra visto che ci sono anche Francesca Zaccariotto, Mattia Malgara, giusto per sorvolare sulle alchimie regionali della Lega e sui movimenti separatisti che, comunque, portano via voti a tutti tranne che alla sinistra di Felice Casson. Dunque, Brugnaro si è candidato, dice di non voler avere a che fare con i partiti anche se lo sostiene Forza Italia (coraggioso: la benedizione di Berlusconi e Brunetta in una città come Venezia non è il massimo della sponsorizzazione) e in questi primi giorni di campagna elettorale ha tinto di rosa strade, calli, piazze, campi. Neanche fosse Hello Kitty, Brugnaro ha scelto un colore del tutto inedito per un candidato maschio, decisamente lontano dai rossi-azzurri-verdi-neri dei partiti, decisamente inneggiante al bello, al buono, alla speranza. In una intervista al Gazzettino ha detto che non si farà scrupoli nelle spese della campagna elettorale e, trattandosi di soldi suoi, nessuno (forse) potrà recriminargli alcunché. Tutto ciò premesso, resta il quesito: perché Luigi Brugnaro da Spinea, figlio di un poeta operaio, self-made man che ha costruito un impero intuendo tra i primi le potenzialità della riforma Treu con il lavoro interinale e che adesso vuole fare di Venezia una "impresa comune", ecco: perché Luigi Brugnaro si firma Brugnaro Luigi? Ignora le regole dell'Accademia della Crusca? È rimasto ai tempi delle scuole elementari? Nessuno gli ha detto che solo negli elenchi telefonici si mette prima il cognome e poi il nome? O è perché, come dicono i veneziani N.H. e dotti, è uno che sta al di là del Ponte e dunque è un "contadino"?
Forse la spiegazione del Brugnaro Luigi - uno che all'inizio di campagna elettorale twitta "Compro le bistecche e vado a casa un po' stanchetto ma contento" e pure "Stefania ti amo", così, come se fosse la cosa più naturale del mondo dire al mondo i propri sentimenti - ecco, la spiegazione è che Brugnaro Luigi forse se ne infischia delle formalità, del bon ton, della forma. Dimostrando, nel lavoro e nello sport, che più di tutto conta la sostanza.
Certo. Ma a Venezia, nella sfida per Ca' Farsetti, sarà la stessa cosa?
Comunque vada, sarà una campagna elettorale fuori del comune.