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Volevo un tappeto. Prologo

PROLOGO - Volevo un tappeto. Grande. Bianco. Con un vello alto così. Lo fanno in Tibet. Pura lana. Appoggiarci i piedi, scendendo dal letto, deve essere una goduria.
Una volta nelle camere da letto si mettevano le 'preghiere'. Un tappetino ai piedi del letto. Due tappetini ancora più piccoli ai lati. Non ė più di moda. Oggi il tappeto per la camera  va messo sotto il letto, almeno due metri per tre, unica parte scoperta quella dei cuscini. Ė così che mi sono imbattuta nel tappeto tibetano. Bellissimo. Peccato per il peso: venti chili. Sicuramente di più. E non era neanche bagnato.

Volevo un tappeto 1.

PREPARATIVI - Vado in Iran. Il nome non è che mi piaccia molto, mi ricorda gli ayatollah, le guerre con l'Iraq, la minaccia nucleare, divieti, proibizioni. Preferisco Persia. Fa tanto snob, non so perché. Mia mamma, quand'ero piccola, mi raccontava qualcosa a proposito della bellissima Farah Diba, forse è per quello che la parola Persia mi intriga. Comunque, tra  33 giorni parto. E non so neanche cosa mettere in valigia. Lo so, è un luogo comune: qualunque cosa si proponga a una donna, che sia un invito a una festa vip o alla vendemmia in campagna, la domanda è sempre la stessa: cosa mi metto?
La prima volta che l'ho chiesto al mio caro amico persiano, quasi quasi mi sono sentita in imbarazzo. "Ma niente, basta un 'foularino' in testa". Siccome non mi accontento, ho insistito: posso venire in jeans? "Ma sì, certo". Bastarda: così? Ero vestita normalissimevolmente: jeans, camicia, maglioncino, giubbetto. Il mio amico persiano  non ha scosso la testa, ma il senso era quello: "Magari la  camicia un po' più lunga".

Volevo un tappeto 2.

VAI ALLA FENICE - La camicia un po' più lunga. Va bene. Io capisco che quando si va all'estero sta bene adeguarsi ai costumi del luogo. Ė una questione di rispetto. Sicuramente di educazione. Direi, di buona creanza. Ci sto. L'ho sempre fatto. Maldive (il mio mare preferito), pantaloni lunghi e camicia per le visite ai villaggi dei pescatori. Sri Lanka, copertissima per la visita ai templi buddisti. Idem in Thailandia. Ma per la Persia qualcuno avrebbe la cortesia di spiegarmi quanto lunga deve essere la camicia? Sopra le ginocchia? Sotto? E le caviglie? E i polsi?
Io, il burqa, l' ho messo. Un giorno mi chiama il direttore: "Procurati un burqa e vai a Castelfranco. Racconta cosa succede". Non l'ho detto? Il mio mestiere è raccontare i fatti altrui, che poi sono anche i nostri. Insomma, faccio la cronista. Il mio giornale è Il Gazzettino. Alla domanda "dove lo trovo un burqa" era seguita la risposta scontata del direttore. Della serie: arrangiati. Ricordo di aver fatto mentalmente la lista delle botteghe 'foreste' presenti a Venezia: tanti cinesi, ma di integralisti islamici tra Rialto e San Marco manco l'ombra. Ricordo di aver rotto le palle a Nicolao, non un sarto ma un artista, un mago del tessuto che a Venezia veste tutti, dai cast hollywoodiani ai turisti in preda a qualsiasi mania goldoniana. Ma non mi servivano favolosi veli ricamati con fili d'argento, belli e pesanti come piombi. Mi serviva un burqa. L'ho trovato alla Fenice. Non nel teatro divorato dall'incendio e ricostruito 'dov'era e com'era', ma nei suoi magazzini.  Che si trovano in terraferma. A Marghera. All'ombra di relitti che una volta erano fabbriche e ora sono scheletri di cemento. Non è stato facile. Due 'angeli',  scartabellando tra titoli di opera e costumi di scena,  hanno trovato lo scatolone. 'Lo vuoi marrone o grigio?". Grigio, dai, mi sta meglio con lo stivaletto nero. Sono stata a Castelfranco.  Poi ad Azzano Decimo, dove mi sono divertita e anche un po' impaurita, perché prima è arrivato un vigile e poi il sindaco in persona, e siccome in Italia è vietato coprire il volto, mi volevano multare e appioppare tutti i reati appioppabili. Vabbè, adesso devo andare in Iran, mica mi servirà il burqa?

Volevo un tappeto 3.

INTERNET TI SPIA - Cosa fai quando non sai cosa fare? Vai su Internet. È la pratica più sconsigliata in assoluto, come quando hai un sintomo di un qualsiasi malessere e ti rivolgi alla Rete per scoprire cos'hai. Ovviamente salta fuori l'inimmaginabile, il peggio possibile, la più brutta delle più brutte malattie esistenti nell'universo mondo, ma, va da sé, ci credi. Almeno fino a che ti rivolgi al tuo medico, ma intanto ci credi. Ecco, con i viaggi è la stessa cosa. Malattie, vaccinazioni, clima, abbigliamento: si chiede tutto alla Rete. Solo che per l'Iran, Internet non e che sia poi così aggiornato. 

Google: iran-donne-abbigliamento. E ti salta fuori di tutto: racconti di viaggio in cui si raccomanda di calzare i piedi e di coprire le caviglie (quindi dovrei mettere gli odiati gambaletti per le ballerine con quaranta gradi?), resoconti in cui si narra di vestiti che devono arrivare fino a terra (allora potrei mettere il vestito pakistano che mi ha regalato Khan, il maitre del ristorante Colombo?), altri in cui si parla di divieti ormai desueti (ah, vedi che esagerano sempre, questi giornalisti). Ma insomma, come mi devo vestire? Mentre interrogo la Rete, a un certo punto capisco cosa significa essere spiati: i banner pubblicitari che fino al giorno prima reclamizzavano auto e case, adesso sembrano fatti apposta per un viaggio in Iran: sono tutte foto e marchi di camicioni, vestitoni, casacche 'integralist' style da comprare on line. E com'è che mi arriva questa reclame? Cookies, siete voi? 

 

Volevo un tappeto 4.

IL MA-ANCHE VELTRONIANO - Il 'ma-anche' di Veltroni è arrivato pure in Persia. Lo scopro leggendo la mail del mio amico persiano quando mi aggiorna sull'abbigliamento. "Cara Alda, per il comfort e piacevolezza del nostro viaggio, ecco alcune indicazioni generali riguardo abbigliamento e comportamento femminile in Iran (...). Abbigliamento quindi comodo e leggero, MA non trasparente, anche a colori, PURCHE' sobri. Calzature comode, sono consentiti anche i sandali, PURCHE' portati con un pantalone lungo. Si può mettere sul proprio abbigliamento quindi, una camicia o casacca da lunga a fino al ginocchio (le gambe devono essere coperte); maniche lunghe o al gomito e foulard o sciarpa leggera per il capo. E' consentito trucco, smalto per chi ne fa uso. In pratica, un comportamento sobrio, senza particolari ed esagerati condizionamenti, che non si faccia però notare per eccentricità, anche se c'è comprensione e tolleranza per i visitatori stranieri". Bene, siamo al ma-anchismo iraniano. 

Volevo un tappeto 5.

TWITTER - Digito 'Iran' su Twitter. Visto che la ricerca su Internet è stata infruttuosa (post di viaggiatori di dieci anni fa, che me ne faccio?), non mi restano che i cinguettii. E qui trovo una bellissima signora appena tornata, entusiasta, dall'Iran. Messaggio diretto: scusi, ci possiamo sentire? No, vede, è che non capisco questa storia della camicia al ginocchio, esattamente quanto deve essere lunga? E quanto attillata? Ossia, larga da far paura, tipo anni Ottanta quando avevamo le spalle di Mazinga o un po' più asciutta? E davvero si possono portare i sandali? Ma fa caldo? E quanto caldo? E il velo, come lo si porta? Ed è vero che un uomo non può stringere la mano a una donna? E che una donna non può guardare negli occhi un uomo? E che io non posso tenere per mano mio marito? E che non ci si può soffiare il naso in pubblico (che poi, diciamolo, ma quanto schifo fa?, c'hanno pure ragione i Persiani). @alfanor48 aveva twittato foto favolose.

Entusiasta, mi rassicura: sarà un viaggio bellissimo e, no, non serve bardarsi col burqa, bastano una camicia a metà coscia e un foulard leggero per il capo. Che poi, il foulard, servirà anche per coprire la bocca a mo' di bavaglio. Mi promette: scoprirò cosa significa fare la pipì in apnea nei bagni alla turca. Non vedo l'ora.

Volevo un tappeto 6.

IMPRONTE DIGITALI - Serve il visto, per andare in Iran. Mica è l'unico Paese a richiederlo, ci mancherebbe. Però bisogna farlo. Documenti, moduli, foto. E impronte digitali. Tutte e dieci, mano destra e mano sinistra, una casella per ogni dito. Fatto. Una sola preoccupazione: ma con il visto dell'Iran appiccicato sul passaporto, poi potrò andare in Terra Santa? E a New York con le mie amiche-colleghe a emulare Sex and The City? Michele, il mio collega di bianca-nera-giudiziaria, scuote la testa: dovessi a breve andare in Israele o negli States, meglio fare un passaporto nuovo. Ecco.

 

Volevo un tappeto 7.

ONLY CASH - In Iran c'è l'embargo. L'Iran per l'America, e quindi per il mondo, non esiste. Non, almeno, dal punto di vista economico. Sanzioni. Dicono che chi ci ha rimesso di più sia l'Iran stesso dal momento che non può riscuotere i soldi che ha sparso per il globo, 115, ma c'è chi dice 130 miliardi di dollari dalla vendita di petrolio. Si dirà: echissenefrega. Bene, solo che chi va in Iran non può usare né il bancomat né la carta di credito, non c’è Visa né Mastercard che tenga. Only cash. Quanto cash? La vita in Iran non costa granché. Ma se si cerca un bel tappeto, beh, non è a buon mercato.

 

Volevo un tappeto 8.

WIKIPEDIA E IL COMMESSO VIAGGIATORE - C'era una volta il commesso viaggiatore. Suonava il campanello di casa, aveva il vestito della festa, giacca e cravatta, e una grande borsa. Vendeva enciclopedie. I ragazzi dell'èra di Internet neanche immaginano l'esistenza del commesso viaggiatore. Fanno bene. Non esiste più. Non c'è neanche più il 'neretto' che suonava il campanello all'ora di pranzo e, come fai a dirgli di no?, ogni volta la mamma gli comprava i calzetti bianchi, gli strofinacci, il pacchetto di finti kleenex. L'enciclopedia, però, era un 'must have'. Indispensabile per le ricerche che ti appioppavano come compito per casa. La mia prima enciclopedia è stata quella del regno animale. Ecco, non c'è un animale che mi piaccia. Che sia colpa dell'enciclopedia? Vabbè, cazzate. Il punto è che oggi per qualsiasi cosa si consulta Wikipedia e Tripadvisor per viaggiare, mica l’enciclopedia cartacea. Quindi anche per l'Iran, per sapere cos'è/com'è/come va, guardi lì. A proposito: se cercate indicazioni, storia, numeri e dati vari, non li troverete in questo blog. Appunto, c’è Wikipedia.

Volevo un tappeto 9.

NOTIZIE DI BASE - Le risparmio. Si fa prima a guardare in Internet per l'aggiornamento popolazione/ clima/ situazione politica/ più varie e affini. Dico solo che prima della partenza c'era grande aspettativa per il possibile ritiro delle sanzioni causa embargo. Da una parte il gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania), dall'altra l'Iran con il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif. Va ricordato che nel novembre 2013, dopo anni di stallo e quattro giorni di maratona negoziale, Iran e gruppo 5+1 avevano raggiunto un accordo storico a Ginevra che, da una parte, frenava temporaneamente il programma nucleare iraniano, sospettato di finalità militari, e dall’altra parte consentiva a Teheran di ottenere alcuni allentamenti delle sanzioni che stavano strangolando la sua economia. Beh, i recenti negoziati hanno portato ancora a ben poco. Se ne riparlerà a novembre. L'Iran viene accusato di voler costruire una bomba nucleare, Teheran sostiene che il suo programma ha fini pacifici.

Volevo un tappeto 10.

IL VELO E LA PROTESTA - Alle prese con la lunghezza della camicia (lunga, quanto lunga) apprendo che in Iran le donne stanno protestando. Uno pensa: poverette, non ne possono più di girare col burqa, fanno bene a manifestare. Vabbè, il burqa non è obbligatorio, però uscire in pubblico senza velo significa rischiare 70 frustate e 60 giorni in prigione. E ci sono centinaia di donne che stanno sfidando le autorità 'postando' su Facebook proprie foto senza velo, con i capelli liberi, e il foulard lanciato in alto oppure avvolto intorno al collo. E allora com'è che alcune protestano 'per' il velo? Esatto. Pochi giorni fa, a metà maggio, c'è stata una manifestazione di donne iraniane che hanno protestato contro la 'deriva dei costumi', hanno chiesto che vengano intensificati i controlli e punite le femmine che osano girare 'svestite'. 

 

Nota: l’obbligo di indossare l'hijab - cioè il velo - in pubblico è stato imposto alle donne iraniane a partire dalla Rivoluzione islamica del 1979. Esiste una apposita forza di polizia - la cosiddetta polizia religiosa - che ha il compito di controllare il rispetto del codice islamico di abbigliamento nelle strade. Il governo del presidente Hassan Rouhani, pur non avendo mai esplicitamente parlato della cancellazione dell'obbligo di indossare il velo, ha più volte espresso la volontà di garantire maggiore libertà ai cittadini. E per questo è stato criticato dalle frange più conservatrici della società. L’aspetto paradossale è che le nonne ricordano che un tempo era successo l’esatto contrario: nel 1937 lo Scià mise al bando il velo in tutti i luoghi pubblici.

Saranno severi nei confronti delle turiste?

 

Volevo un tappeto 11.

LA SPENDING REVIEW IRANIANA - Alla vigilia dei Mondiali di calcio in Brasile, le agenzie di stampa europee rilanciano una notizia a dir poco curiosa: sarà anche ricco di petrolio, avrà ambizioni nucleari, ma pure l’Iran è alle prese con la spending review. Occhio: l’Iran del calcio. L’anticipazione è che ai Mondiali la squadra iraniana non potrà scambiare le magliette per il semplice motivo che non ne avrà a sufficienza. "Non stiamo dando ai calciatori una maglia per ogni partita, dovranno essere parsimoniosi", aveva spiegato il presidente della Federcalcio iraniana, Ali Kafashian. I calciatori, nel frattempo, si erano già lamentati della qualità delle divise: il portiere di riserva Ali-Resa Haghighi aveva raccontato che la sua maglia, una XL, dopo il primo lavaggio si era trasformata in una XXXL. La Federazione non aveva battuto ciglio: "Ai nostri è stato spiegato che se fanno da soli, non devono lavare le casacche con acqua calda". Ecco.

Volevo un tappeto 12.

FERMENTI E FRUSTATE, HARAM & HAPPY - Sta cambiando l’aria, in Iran. Perfino il presidente Hassan Rouhani ha condannato gli estremismi. L’ha fatto durante una conferenza sulla sanità a Teheran: "Con gli estremismi, con le frustate e con l'uso della forza non possiamo essere incisivi e pretendere di condurre il popolo verso le porte del paradiso». Peccato che più o meno nelle stesse ore qualcuno invocasse l’uso della frusta nei confronti di una star del cinema della Repubblica islamica, Leila Hatami, che a Cannes, dove era stata scelta come giurata, aveva osato baciare sulle guance l’anziano direttore del Festival del cinema, Gilles Jacob. Per il vice ministro della Cultura di Teheran, Hossein Noushabadi, un insulto alla «castità» della donna islamica.

Secondo la legge islamica in vigore in Iran, è "haram" (proibito) qualsiasi contatto tra uomo e donna che non siano sposi o parenti stretti (al massimo zii e nipoti). Per farsi un’idea dei divieti e delle proibizioni, merita di essere riletta l’intervista che Oriana Fallaci fece nel settembre 1979 per il Corriere della Sera all’Iman Khomeini, rientrato dall’esilio dopo la cacciata dello Scià e l’istituzione della Repubblica Islamica dell’Iran. E’ la famosa intervista dell’”incidente”, quando la Fallaci getta il chador e il giorno dopo, parlando delle calunnie dell’Occidente, l’Ayatollah Khomeini la definirà “quella donna”. 

Sono passati 35 anni dalla Rivoluzione e l’aria sta cambiando. Ma non è semplice.

Poco più di un anno fa, l’allora presidente Mahmud Ahmadinejad è stato bersagliato di critiche per aver abbracciato la pur anziana madre del defunto leader venezuelano Hugo Chavez. Adesso sei ragazzi - tre maschi e tre femmine - sono finiti in carcere per aver cantato 'Happy', la canzone di Pharrell Williams, per le strade di Teheran e per aver diffuso su YouTube il video della performance. Il video ha ottenuto in poco tempo oltre 40mila visualizzazioni, ma alle autorità iraniane non è piaciuto: «Video volgare».

Pochi giorni dopo l’arresto dei ragazzotti e delle figliole senza velo che cantavano "Happy", si viene a sapere che anche Instagram è off limits. L’agenzia di stampa Mehr informa che un tribunale iraniano ha ordinato al ministero dell'Interno di Teheran di bloccare l’applicazione che permette agli utenti di scattare foto e condividerle sui social network. Il motivo della messa al bando? Instagram ha violato le disposizioni sulla privacy in vigore nella Repubblica islamica. E così, dopo YouTube, Twitter, Facebook e Whatsapp, si allunga la scure della censura iraniana.

 

Volevo un tappeto 13.

SI PARTE - Venezia Marco Polo destinazione Istanbul. Siamo in sette. Due ore e mezza di volo e si arriva nella metropoli turca. Area transiti. Dobbiamo aspettare tre ore e poi da Roma e da Milano arriveranno gli altri della comitiva. In tutto saremo in trentatré. Per far passare il tempo i vassoi di dolcetti al pistacchio nelle aree dell'immenso duty free sono una benedizione. Specie dopo i 'maccaroni' alle melanzane serviti in volo. La pasta al dente, che al dente non è, in aereo va scrupolosamente evitata, sai che scoperta. Vabbè, fra un po' si parte per Shiraz. Bisognerà coprirsi. Qui in aeroporto a Istanbul donne velate ce ne sono tantissime. Alcune con il niqab. Solo gli occhi visibili, neanche il naso. Pastrani neri lunghi fino ai piedi. Sotto spunta il decolletè con tacco a spillo. Le più raffinate hanno soprabiti neri con i polsi ricamati con fili dorati, a tracolla borse griffate occidentali. Ci sono anche ragazzine 'coperte', velo e tunicona. Non vedo colori sgargianti. A dire il vero, i colori proprio non ci sono. Nero. Solo nero. Mi viene da dire 'povere ragazze', poi penso al mio armadio. La differenza è che la mia è una scelta.

Volevo un tappeto 14.

LA VESTIZIONE - Puntuale come un orologio svizzero, l’aereo della Turkish atterra a Shiraz alle 2.30. Da qualche minuto per le donne è iniziata la vestizione. Foulard. Sciarpette. Sciarponi. Piegati in due, in tre, a triangolo. L’aereo sta ancora girando in pista e già non c’è una testa femminile scoperta. Sopra i jeans e le magliette, indossiamo camicioni stile premaman. Noi. Loro, le giovani iraniane che incrociamo nella sala arrivi subito aver recuperato i bagagli, dell’oversize se ne fregano. Sì, hanno il velo in testa. Ma il trench lo portano attillato e strizzato in vita e sotto hanno pantacollant aderenti, appunto, come una calza. Basta guardarle per dare un taglio al tormentone quanto-lunga-la-camicia: ecco, basta che il culo sia coperto. Ci voleva tanto?

Volevo un tappeto 15.

RISVEGLIO MILIONARIO - Non potendo usare alcuna carta di credito del circuito internazionale, è tempo di cambiare la valuta. Un euro equivale a circa 40mila Rial iraniani. Sono ricca: ho 4 milioni in tasca!

Volevo un tappeto 16.

PERICOLO DI CORNA - Siamo a Shiraz, la città delle rose e dei poeti (per dire: noi abbiamo Leopardi, loro hanno Hafez). Il programma prevede la visita di Arg Karim Khan, una residenza-fortezza medievale della dinastia Zand. Poi c’è il giardino del Paradiso da ammirare. E soprattutto l’imponente Moschea di Shah Ceragh con la cupola coperta di specchi: uno spettacolo, abbagliante. Qui comincia quella che diventerà la prassi di questo tour iraniano: maschi e femmine percorsi separati, loro da una parte, noi dall’altra. Per entrare nella luccicante Moschea degli specchi assumo le sembianze di Belfagor.

 

Così, almeno, mi etichettano i compagni di viaggio dopo avermi vista con il chador preso all’ingresso e che mi copre dalla testa ai piedi. Dentro, la differenza tra noi - visitatrici occasionali - e loro - le donne persiane, è abissale. Noi guardiamo, loro pregano. Noi ammiriamo, loro passano il tempo sedute a terra chiacchierando, perfino studiando. È come se la Moschea fosse un punto di ritrovo. All’uscita, tolto il chador, tra i maschi della comitiva si parla di donne. Ecco, non tutti le preferiscono bionde. Di sicuro non mio marito. Magari per Marilyn Monroe avrebbe fatto un’eccezione, ma il suo tipo di donna è la mediterranea. Finché non ha visto le persiane. Occhi scuri. Penetranti. Praticamente perle nere. Sopracciglia scolpite. Lineamenti marcati. Labbra dal contorno perfetto. Saranno anche coperte, ma quelle belle-belle - e ce sono, eccome - emanano fascino. Dopodiché si può aprire il capitolo intitolato Ritocco: le sopracciglia non paiono scolpite, lo sono, per la precisione se le tatuano. Gli occhi sono penetranti anche grazie a un sapiente uso del kajal. E se i nasi sono perfetti, il merito è del chirurgo plastico: solo cinque anni fa Teheran risultava essere la città con il maggior numero di nasi rifatti al mondo, 35mila all'anno contro i 6mila del Regno Unito. Uno status symbol. Girare con il nasino incerottato è tuttora motivo di orgoglio: me lo sono rifatto. Vabbè, ritocco o non ritocco, qui con le persiane il rischio corna ci sarebbe.

Volevo un tappeto 17.

TOH, C’E’ IL MOJITO - In Iran si mangia e si mangia pure bene. Perfino la Regina Elisabetta potrebbe gradire visto che qui, aglio, ne usano poco, pochissimo e in pochissime pietanze. Spezie sì, ma non in abbondanza. La carne è grigliata, faccio scorpacciate di spiedini di pollo colorati del giallo dello zafferano, quelli di agnello e manzo manco li assaggio. Favolose le melanzane stufate. Frutta ne avrebbero in quantità, ma a pranzo e a cena non si usa, qui viene servita principalmente come spuntino, a metà pomeriggio. Il riso bianco è il solito riso bianco. Il pane è una focaccetta anonima, a meno che passeggiando non si incroci un fornaio e non si scopra il pane barbari: ecco, quello è squisito, croccante fuori e morbido dentro, cotto nel forno a pietra, di un profumo che pareva scomparso. Quanto al capitolo dolci, se si è a dieta meglio stare a casa: impagabili! Delle bevande, si sa: acqua, acqua, acqua. Alcol bandito, non c’è vino, non ci sono superalcolici. Meglio: dicono che ci siano e che non sia neanche tanto difficile recuperare una sorta di grappa che brucia le budella, solo che bisogna stare attenti ai controlli, alla polizia, alle multe. E poi, col caldo che fa, non vien neanche voglia. Certo, un Mojito ghiacciato con due foglioline di menta... Volete il Mojito? C’è. In lattina, ma c’è. Poi leggi gli ingredienti e scopri che trattasi di una simil lemonsoda analcolica. Come la birra: si chiama birra, non è birra.

 

Volevo un tappeto 18*

IL CLAN DELLE VEDOVE - Sveglia all'alba. Persepolis e Zaratustra non aspettano i pelandroni. Abluzioni in tutta fretta prima della colazione al ventiquattresimo piano. Gli ascensori sono già in piena attività, come pure le nostre compagne di avventura che viaggiano senza corrispettivo maschile. Entro la fine del viaggio scopriremo il motivo nel loro status da single: in buona parte vedove, sempre insieme hanno girato il mondo . Intanto da due di loro, che assomigliano alle ziette di "Tutti pazzi per amore", apprendiamo che: a) il loro bagno non funziona, b) le cameriere non hanno cambiato gli asciugamani, c) "Dobbiamo andare alla reception", "No, cara, andiamo a far colazione". L'ascensore che avevamo chiamato è arrivato, ma l'indecisione è fatale. Carpe diem. L'attimo è fuggito. L'ascensore pure. Nel frattempo arriva una terza zia, agghindata come la madonna incoronata il giorno della processione. Digitiamo ancora il numero 24 sul display, che comanda quattro cabine. Prima abbiamo perso la numero due, ora sta arrivando l'ascensore 1 annunciato dallo squillo. Le vegliarde sono pronte a scattare come una squadra di football americano sulla linea dell'attacco. Peccato che si comportino come difensori: un muro compatto e immoto tra noi e le porte che si aprono. E si chiudono. Adios anche al secondo ascensore. Siamo usciti dalla camera da cinque minuti e rimaniamo nel nostro stesso piano.  Ehi, ma noi vogliamo far colazione e, poi, possibilmente la cacca prima di salire sul pullman diretto a Persepolis. L'ascensore numero tre però non ci scappa. Scatto felino all'approssimarsi della cabina, piede strategico davanti alla porta, "avanti signore c'è posto", comportamento da perfetto gentiluomo, ascensorista provetto, mica mi fregate per la terza volta, le ladies trotterellano all'interno in fila indiana, si parte. Colazione, ci siamo. Ma, una volta usciti, incocciamo nella piccoletta "romana de Roma" che la sera prima ci accusava di averle rubato la sedia a cena: "Dov'è la mia borsa? Era qui sulla mia sedia". "No, signora, qui non c'è la sua borsetta, perché questa non è la sua sedia, perché lei è seduta a un altro tavolo. E non fa nemmeno parte del nostro gruppo”. E se n'era andata borbottando, certo poco convinta della spiegazione. Comunque sia, rieccola qua. Ci sbarra la strada con tutto il suo metro e quaranta infagottato nei veli. "Dove andate?". "Veramente noi siamo appena arrivati, lei piuttosto?". "In camera, no". Giusto. "E dove, a che piano?", chiediamo gentili. Ma la miniwoman, in un sussulto di indipendenza, comincia a digitare sul display  manco fosse un programmatore della Nasa. Una cabina si apre. Houston abbiamo un problema. Lei si infila dentro. Ma avrà centrato il piano giusto? Se così non fosse, tra qualche anno leggeremo la notizia: "Scheletro nell'ascensore dell'hotel cinque stelle a Shiraz. Si tratterebbe di un'anziana turista italiana scomparsa nel 2014. La polizia ritiene che per tutto questo tempo abbia viaggiato su e giù per i 24 piani dell'albergo".

(*) incursione di mio marito, 'Il Clan delle vedove' è suo

 

Volevo un tappeto 19.

IL PAESE DEI POETI - Una va a Cuba e torna a casa con la testa piena delle gesta di Che Guevara e il ritornello di "Hasta siempre, comandante". In Messico riecheggia l’incitazione di Emiliano Zapata: "Uomini del Sud! È meglio morire in piedi che vivere in ginocchio!". In Iran non celebrano i condottieri, ma i poeti. E la tappa obbligata è la visita ai mausolei di questi maestri persiani della penna, non troppo graditi dagli ayatollah e del tutto ignorati dalla scuola italiana (destino peraltro comune a molti altri "colleghi" di tutto il mondo e di tutte le epoche).

Uno dei più famosi è Saadi (ma si trova scritto anche Sa’di), nato a Shiraz, XIII secolo, autore del "Bustan" (Il roseto) e "Gulistan" (Il giardino delle rose), quest’ultima opera ricca di aforismi e aneddoti. Tra i suoi versi c’è questo: "E’ preferibile che il marito di una donna brutta sia cieco". Ma anche: "Ciascuno è artefice del proprio onore". Prima di Saadi c’era Umar Khayyam (1048-1131), che fu anche matematico, astronomo, filosofo. A Khayyam nel 1970 hanno dedicato un cratere lunare e dieci anni dopo un asteroide. Esiste perfino una varietà di Rosa Damascena, antica e molto profumata, a lui intitolata. E’ la stessa rosa che è stata piantata sulla tomba di Edward Fitzgerald, il traduttore di Khayyam, da semi ricavati dalla tomba del poeta a Nishapur.

Le rime dei poeti, sulla strada verso il mausoleo a Shiraz, ai visitatori le offre un uccellino dalle piume colorate: rosa, gialle, anche azzurre. Li hanno addestrati a scegliere i versi scritti su foglietti arrotolati di carta. Solo che sono scritti in farsi. Persiano. E le traduzioni variano a seconda del traduttore.

 

Volevo un tappeto 20.

L’ARAZZO CHE COPRIVA LA MECCA - Quando la nostra guida ha capito cos’era, si è messo a baciarlo. A noi pareva semplicemente un arazzo. Bello, certo. Antico. E molto lavorato. Ma pur sempre un arazzo. Sbagliato: era l’arazzo che aveva coperto la Ka’ba al centro della Mecca, la città del profeta Maometto, il rifondatore dell’Islam. Realizzato in seta e argento (120 chili di argento), l’arazzo in questione risale a 300 anni fa e a tesserlo furono artigiani di Yazd. Adesso è tornato a casa. Occupa l’unico salone del museo attiguo alla moschea di Yazd. Ecco, un viaggio in Iran può riservare anche sorprese del genere. Nessuno sapeva che vicino alla moschea di Yazd era stato aperto un museo (e infatti risale a pochi mesi fa) tant’è che ancora non c’è un orario prestabilito per le visite. A noi è andata di lusso perché, appena usciti dalla moschea, boccheggianti nel caldo pomeridiano, il nostro amico persiano ha visto la porta aperta, ci ha messo dentro la testa e ha trovato una gentile signorina che ha dato tutte le spiegazioni.

Sorprese a parte, il tour classico dell’Iran è un concentrato di meraviglie naturali, reperti storici, creazioni dell’uomo.

Persepolis, con i resti della grande capitale voluta da Dario I nel 518 avanti Cristo. Le tombe dei grandi imperatori Achemenidi scolpite sulle pareti della montagna. L’altare del fuoco dell’originaria religione persiana, quella che venerava il Signore Saggio e che venne diffusa da Zoroastro (o Zarathustra) e che viene così sintetizzata: "Buoni pensieri, buone parole, buone opere". Il cipresso più vecchio del mondo, 25 metri di altezza, 14 di larghezza: si trova sulla strada per Yazd, dicono sia lì da 4mila anni.

E poi Esfahan, splendente, con l’immensa piazza dell’Imam, i monumenti che paiono dipinti, i ponti senz’acqua dopo che hanno deviato il fiume (ed è come vedere Torino senza il Po), le moschee, i colori che ti proiettano dentro una cartolina. Dicono: "C’è Esfahan e la metà del mondo". Quando la vedi capisci perché. E Kashan, la città delle rose. E Qum (o Qom), nella cui moschea entrano solo i musulmani e dove comunque devi andare bardata, perchè non basta il velo in testa e un camicione largo, questa è la città santa. E dopo aver visto tanto nero e tanti chador, ecco che esplodono i colori di Abyaneh, un villaggio costruito sulle rovine di origine sassanide, dove le donne vestono costumi variopinti. Non pare neanche di essere in Iran.

Finché si arriva a Teheran, la capitale, 15 milioni di abitanti, una metropoli attraversata da un grande viale. È qui, nei caveau della Banca Centrale di Teheran, che si trova il Museo dei Gioielli: solo quello vale il viaggio in Iran. Le foto sono vietate, non esistono selfie. C’è il famoso Trono del Pavone, ci sono le gemme dell’Impero. A me ha colpito un mappamondo: grande così, interamente ricoperto di diamanti, smeraldi, rubini. L’Italia? Quattro pietruzze rosse.

 

Volevo un tappeto 21.

L’UMILE DIMORA - Chiariamolo: non ha la storia del Quirinale, non la maestosità di Versailles né l'intrinseca potenza della Casa Bianca, pure qualche dittatore del terzo mondo (ma anche della Romania, per non andare troppo lontano) è riuscito a far di meglio investendo le risorse saccheggiate al popolo, e giù a Teheran abbiamo visto palazzi più sfarzosi. Ma Sadabad, residenza dei Pahlavi a mezza montagna dove la famiglia - per dirla alla veneta - prendeva i freschi mentre laggiù si boccheggiava per il caldo, è spettacolare in un modo tutto suo. Per arrivare all'umile dimora oggi museo, in mezzo a un parco punteggiato da dependance varie, alberi secolari, prati verdi brillante, piscine in disuso, mancano solo le Rolls dello sciá e qualche altra delizia sibaritica,  bisogna inerpicarsi un po' dalla capitale ( che comunque sorge a mille metri sull'altopiano) e si intravedono le cime innevate. Non è che abbia tante stanze, anche perchè lo scia mica dormiva o pranzava in un camerino quattro metri per tre e mezzo, e ad essere precisini anche le finiture lasciano a desiderare, sarà per certa incuria o approssimazione nei dettagli che non sfugge a noi italiani. Ma la residenza contiene in sè una forza evocativa che non avevamo riscontrato tra  palazzi e musei della metropoli  più in basso. Ecco dove viveva la famiglia reale. Marmi, quadri, lampadari e tappeti, tanti tappeti fatti su misura che coprono quasi l'intero pavimento in ogni stanza (il più grande misura più della maggior parte delle case italiane, 145 metri quadri),  statue, soprammobili, salotti su salotti, sale per i ricevimenti... insomma da vedere ce n'è un bel po'. Per finire con un monumento particolare: due gambe.

Ciò che resta del bronzo dello sciá Reza, il resto l'hanno segato e portato via i rivoluzionari islamici quando hanno fatto sloggiare l'ultimo della dinastia, Mohammed Reza, le cui evoluzioni amorose tra Soraya e Farah Diba hanno riempito per decenni i rotocalchi.

 

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QUELLO CHE NON C’E’ - Non è vero che tutto il mondo è paese. La globalizzazione non è ovunque. L’Iran non è globalizzato. Non lo è nei centri storici come Shiraz o Esfahan. Ma neanche nella capitale che ha pur sempre 15 milioni di abitanti contando anche la cintura urbana. Dipende dalla politica della Repubblica Islamica. E dalle sanzioni internazionali decise in risposta allo sviluppo del programma nucleare iraniano. Le sanzioni dell’Onu sono iniziate nel 2006. Quelle dell’Unione europea hanno comportato, tra l’altro, il blocco delle importazioni di petrolio e gas iraniano, ma anche delle transazioni finanziarie con le banche. Misure restrittive in quasi tutti i settori del commercio sono state imposte dagli Stati Uniti. Il risultato è l’impossibilità di usare in Iran la propria carta di credito. (Occhio: ci sono negozi che vendono merce pregiata e cara, come i tappeti, che si appoggiano ad altri negozi in Europa. Funziona così: si pattuisce il prezzo, ci si porta a casa il tappeto, oppure si chiede che venga spedito a domicilio. Si dà solo un acconto, il saldo avviene con bonifico o cash al negoziante amico in Europa. Tutto sulla fiducia).

Non solo: a Teheran non si trovano i negozi tipici delle grandi metropoli. Le firme. I monomarca. I paradisi dello shopping. I centri commerciali non mancano, ma sono la versione moderna dei bazar: negozietti di spezie, mercerie, ortofrutta, casalinghi. Per le fashion victim iraniane ci sono le scarpe griffate Prada. Finte, ovvio. Fatte in Cina? Può darsi. Quelli che mancano in Iran, semmai, sono i cinesi. A Teheran e in nessun’altra città iraniana esiste una Chinatown. La guida ci ha s piegato che i cinesi tempo fa sono arrivati in Iran, hanno fotografato il fotografabile, si son messi a scopiazzare tutto, anche l’artigianato locale, tanto che adesso devi distinguere tra produzione del posto e paccottiglia. Dopodiché i cinesi non sono riusciti a trasferirsi e a vivere in Iran. Motivo: gli iraniani non li vogliono.

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AFFAMATI DI INFORMAZIONI - Come sono i persiani? Come mai li immagineresti. Cordiali. Gentili. Affabili. Ben disposti nei confronti degli italiani. E, soprattutto, affamati di informazioni. Il che si può anche intuire se si considera che il flusso di notizie è filtrato: connettersi a Internet è semplice, gli alberghi hanno ottime coperture wifi e in molti casi gratuite, ma spesso e volentieri le home page dei quotidiani esteri sono off limits, al loro posto compare una schermata con indecifrabili (per noi) frasi in lingua farsi. I giovani iraniani riescono ad accedere a Facebook e ad altri social network utilizzando software che neutralizzano i blocchi posti dalle autorità giudiziarie, ma per il resto della popolazione le informazioni più semplici sono quelle dirette. Significa che quando si incrocia un turista, l’atteggiamento è l’esatto opposto di quel che avviene a Venezia: in Iran i visitatori sono graditi, eccome. Per vari motivi, non ultimo il fatto che sono ancora pochi, quasi un evento in periferia. Ma oltre alla curiosità, c’è anche la sete di notizie: parlando con i turisti è possibile sapere cosa avviene nel resto del mondo. Il problema è parlare. E capirsi. Gli adulti conoscono poche parole di inglese. I giovani lo studiano a scuola e quando capiranno che le lingue straniere sono il primo strumento per diventare autonomi, forse per loro sarà il momento della vera emancipazione. Tant’è, incrociare una famigliola, padre madre e figlioletto, con lui che attacca bottone con uno degli uomini della comitiva di turisti, è una normalità. Più interessante è essere avvicinata dalle donne di una famiglia, nonna, mamma, figlie, nipoti, che insistono per comparire tutte quante nel selfie scattato con lo smartphone e scoppiano a ridere quando apprendono che in Europa mica andiamo in giro infagottate come loro, figuriamoci, la camicia la portiamo strizzata, anzi ben corta, cortissima, d’estate abbiamo il top e la canottierina, e il velo poi, certo che no. Come ci siamo dette queste cose? In un inglese che loro capivano a stenti, a malapena tradotto da una delle nipoti. Quindi, soprattutto, gesticolando.

 

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GIOVANI E ANZIANI - Può anche capitare di essere scrutati da una anziana signora nell’area di attesa - una sorta di bar - di una stazione di servizio, di ricevere un sorriso e di essere invitate con un cenno della mano ad avvicinarsi. Mi è successo sulla strada che porta a Qom, la città santa nella cui moschea possono entrare soltanto i fedeli (in realtà non è difficilissimo intrufolarsi, basta velarsi, coprirsi e bardarsi con un chador nero - i più lavorati, con perle e ricami sulle maniche, li ho trovati a 25 euro, prezzo base da trattare). Dunque, sono in questa specie di autogrill dove il nostro pullman ha fatto sosta e sto curiosando tra gli scaffali pieni di pistacchi (favolosi) e albicocche secche, quando noto una anziana seduta su una seggiola, in un angolo, che mi osserva. La guardo. Mi guarda. Sorride. Ricambio. Mi fa cenno con la mano di andare da lei. Vado. L’intera famiglia ci circonda. Ci siamo detti le cose più normali, voleva sapere da dove venivo, dove stavo andando e, soprattutto, se mi piaceva la Persia. Non so perché, ma così come sono orgogliosi di essere persiani (guai a definirli arabi), sono altrettanto felici di sapere che il loro paese piace ai forestieri. Se poi si cerca di parlare dei divieti e degli obblighi imposti alle donne - il velo, l’impossibilità anche per le turiste di usare le piscine e le Spa negli alberghi, i percorsi separati per accedere alle moschee - la stragrande maggioranza rifiuta in pubblico di trattare l’argomento. Chi lo fa, è per difendere le leggi islamiche. E anche in questo caso rischia di essere malvista dalle anziane.

Mi è capitato la sera che siamo andate a vedere la Moschea della Luce a Shiraz. Eravamo appena entrate quando una giovane iraniana si è avvicinata e, in un inglese fluente, ha iniziato a conversare. Lei chiedeva, io rispondevo. Io chiedevo, lei spiegava. Ventisette anni, sposata, il marito di 36 anni, felice di essere incinta del primo figlio. E pronta a difendere il chador («Non dà nessun fastidio»), il nero imperante («Lo usiamo solo quando usciamo in pubblico, è un colore elegante, a casa ci vestiamo come vogliamo, abbiamo abiti colorati e in fantasia»), così come il fatto che la moschea alle undici di sera fosse piena di bambini (Non dovrebbero essere a letto? «Qui scaricano le energie»). Insomma, non stava dicendo nulla di compromettente. Eppure, ciò nonostante, le vecchie la guardavano male, una continuava a prenderla per il braccio e a insistere perché andasse via e la smettesse di parlare con noi turiste vestite in maniera improbabile, coperte e velate, certo, ma pur sempre colorate, troppo sgargianti per essere in pubblico e in una moschea. La giovane donna incinta non si è lasciata intimorire. Sarebbe andata avanti per ore.

Se poi si ha la fortuna - come abbiamo avuto noi - di andare a casa di un persiano e di essere ospiti della sua famiglia, si apprezza ancora di più la cordialità di questa gente. Quella che ci ha aperto le porte è una famiglia benestante, con una grande casa, un terrazzo all’ultimo piano pieno di piante e fiori dove abbiamo gustato l’anguria, e una cucina con un frigorifero all’ultimo grido. Fosse stato per loro, avremmo potuto restare in salotto fino a notte fonda ad applaudire le loro figlie che per noi si esibivano in danze e canti locali.

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VAI IN IRAN? MA NON HAI PAURA? - Non pensavo di doverlo dire: l’Iran non è l’Iraq. Eppure alla vigilia della partenza, in molti mi hanno chiesto perché mai avevo deciso di andare in un paese così pericoloso. L’Iran è uno Stato islamico con leggi - e punizioni per chi le trasgredisce - che in Occidente non accetteremmo mai. Ma non è un paese pericoloso. Non, almeno, nel senso del pericolo che intendiamo nelle nostre città: furti, borseggi, malavita... Nulla di tutto di ciò. Si può girare tranquillamente a qualsiasi ora, di giorno e di notte. Trovando quasi sempre gente in giro. I luoghi di ritrovo sono principalmente i giardini, ma anche l’aiuola nella rotatoria stradale: si stende un tappeto, una coperta o un plaid, meglio se sotto un albero, e si passano ore con la famiglia, con le amiche, con i parenti a mangiare e parlare. Il vero pericolo, semmai, è la strada: occhio a come sfrecciano le auto quando si attraversa.

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TANFO - L’Iran ha un serio problema di fognature. Non sono riuscita a capire se è perché le fogne mancano o se è perché sono malfatte, ma il dato di fatto è che, tranne negli alberghi di lusso, tutti i gabinetti pubblici sono puzzolenti latrine. Ho capito cosa significa fare la pipì in apnea, come mi aveva preannunciato @alfanor48: trattandosi di bagni alla turca, prima di entrare si arrotolano i pantaloni fin sopra le ginocchia, poi ci si toglie il velo (nei bagni si può fare, si è tutte donne) e lo si trasforma in un bavaglio. Non respirare è l’unico sistema per resistere quei pochi istanti necessari per fare pipì.

 

Ma perché i bagni puzzano? È sicuramente una questione di pulizia (che non c’è). Influisce il fatto che al posto dello sciacquone c’è un tubo di gomma che dovrebbe essere usato per buttare dell’acqua nello scarico (tubo lercio che gli occidentali si guardano bene dal toccare). Ma è anche un problema di fogne. Se l’Iran pensa di aprirsi davvero al turismo, dovrà sistemare i gabinetti.

 

 

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IL FUMO FA MALE - L'incidente non poteva mancare.  Se viaggi in gruppo lo devi mettere in conto, il contrattempo ė in agguato. Erano usciti dalla hall dell'albergo di Teheran per farsi l'ultima cicca prima di salire in camera per prepararsi per la cena. Fatale fu il gradino. Alto pochi centimetri. Invisibile. Una trappola per la sventurata compagna che incespicò planando con la bocca sul marmo dopo una scomposta piroetta. Diciamolo pure: il fumo fa male. E ora passiamo alla sanità iraniana. Corsa all'ospedale, per il trasporto provvede un'agenzia specializzata, per il pagamento pure, ottanta dollari e il labbrone ė rimesso a nuovo con un tot di punti da parte di un dottorino che - a detta del collega italiano in gruppo con noi - proprio la manina da ricamatrice di Burano non ce l'ha.  Comunque, un paio d'ore dopo, la signora è in camera. Al di là del carattere - encomiabile e invidiabile - della diretta interessata che porterà per qualche tempo i segni del capitombolo, vogliamo parlare della sanità persiana? D 'accordo, si paga. Diciamo pure che la ferita poteva essere medicata meglio, ma si tratta di punti interni alla bocca. Epperò il paragone sorge spontaneo: quante ore la paziente avrebbe dovuto rimanere in attesa in qualsiasi pronto soccorso italiano?   Risposta non c'è, ma un sospetto ce l'abbiamo.

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IL BOOM DEL TURISMO - Se volete soggiornare in un caravanserraglio trasformato in hotel a cinque stelle, dovete andare all’Abbasi a Isfahan. Ma dovete prenotare per tempo. Per la primavera e l’estate 2015 già si fatica a trovare posto per i gruppi. È l’effetto del boom del turismo. Fino a due anni fa in Iran arrivavano pochi visitatori e quei pochi erano principalmente francesi e giapponesi. Adesso è la volta degli italiani. Solo che strutture alberghiere di un certo livello scarseggiano. L’Abbasi, se non per dormire, almeno una visita la merita tutta. La hall è un tripudio di quadri, stucchi, vetri piombati, legni intarsiati, marmi, ottoni: tutto quello che non è minimalista ed essenziali, si trova qui. E il giardino interno è da mille una notte. Quanto costa? I prezzi esposti alla reception - quindi prenotando lì - prevedevano per la suite più bella e più cara ben 6 milioni e 100mila ryal a notte. Circa 150 euro.

 

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PARADOSSI E DICERIE - Cominciamo con le dicerie: non è vero, come avevo letto da qualche parte in Internet, che in Iran una donna (quantomeno una turista) non deve guardare negli occhi un uomo. E che non può stringergli la mano. Io l’ho fatto. Inavvertitamente. Spontaneamente. E quando me ne sono resa conto, ho tirato indietro la mano come se temessi che me la tagliassero. Lui, il signore iraniano col quale stavo parlando, è scoppiato a ridere: no - mi ha rassicurato - non c’è nessun problema a salutarci con una stretta di mano.
Eravamo a Teheran e nel grande albergo dove alloggiavamo stavano festeggiando due distinti matrimoni. Il signore iraniano che mi aveva rassicurato su saluti e strette di mano, era uno degli invitati a uno dei due matrimoni. Lì ho capito come funziona la suddivisione per sesso: i maschi se ne stanno per conto loro in una sala, le donne in un’altra stanza. Il lato positivo di questa netta separazione? Le donne, al riparo da sguardi maschili che non siano quelli familiari, sono vestite come noi occidentali: tacchi alti, spacchi, scollature, capelli in mostra, colli nudi. Poi, quando il festone finisce e devono uscire per tornare a casa, si ricoprono come al solito: soprabito lungo e velo.
A proposito di velo: tra i vari manifesti affissi in giro per le città, oltre a quelli che raffigurano gli Ayatollah, ce n’è uno con una bimbetta in primo piano con la testa coperta da un velo bianco. Spot: "La donna è un gioiello, il velo la valorizza e la protegge". Sulla protezione, nulla da dire: col sole che picchia, anche ai maschietti il velo in testa sarebbe utile. Sulla valorizzazione, dissento: ci sentivamo tutte delle befane. E comunque, resta una imposizione.

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IL PAESE DELLE CONTRADDIZIONI - In Iran l’alcol è vietato, la droga è vietata, le libertà sessuali sono vietate, l’adulterio è punito con la lapidazione, gli omosessuali rischiano di essere frustati, arrestati, impiccati. I rapporti di Amnesty International sulle libertà negate in Iran (uno degli ultimi dossier pubblicati denunciava la persecuzione nelle Università) sono terribili. Ma in Iran devono pur andare avanti e, come in qualsiasi altro paese, ci si arrangia. Fatta la legge, trovato l’inganno? Di più. Prendiamo i rapporti prematrimoniali: sono vietati. Però sono possibili i matrimoni a scadenza. In Internet ci sono siti appositi, quando si trova l’anima gemella si stipula il contratto e per una decina di giorni si è "sposati", con la scontata conseguenza che si può andare negli alberghi, nella stessa camera, senza nulla rischiare.
Marito e moglie. Da noi diremmo escort. (A proposito di matrimoni: a un uomo sono consentite quattro mogli a patto che la prima dia il consenso, anche se ultimamente si tengono una moglie e basta. Le donne che sottoscrivono i contratti a scadenza, prima di firmarne uno nuovo, devono lasciar passare 40 giorni, il tempo per verificare che non ci sia una maternità in atto, nel qual caso il marito "scaduto" dovrà farsi carico del figlio).
Ancora: la musica. Le donne non possono cantare come soliste perché la loro voce ecciterebbe gli uomini. Significa che in Iran le donne non cantano? No, significa che si trova un altro sistema per cantare. Ad esempio nelle scuole di canto, soprattutto a Teheran. Oppure nei locali, ad esempio i ristoranti, a patto di essere in un trio, due uomini e una donna.
Comunque, a sentire gli iraniani, ci sarebbe più libertà adesso con la Repubblica Islamica che non ai tempi dello Scià. Se non altro - dicono - qui esiste una opposizione. In Giordania, rimarcano, non c’è. Adesso si parla di regime, ma nessuno parlava della dittatura dello Scià. Obiezione: gli oppositori li mettete in galera, avete ancora la pena di morte. Replica: anche negli Stati Uniti c’è ancora la pena di morte. Non è la stessa cosa, ma con questo il confronto è chiuso.

Volevo un tappeto 31.

UNA PENTOLA A PRESSIONE - L’Iran è una pentola a pressione che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Oppure no, come se la ribellione che cova si sgonfiasse, esattamente come il vapore che esce dalla valvola sul coperchio. I presupposti per l’esplosione ci sarebbero. I prezzi aumentano e la gente non sa perché. «È come se tu andassi nel tuo solito supermercato a comprare una confezione di uova e pagassi 3 euro e il giorno trovassi le stesse uova a 7 euro», mi spiega Alì - nome fittizio, non pubblico quello vero per non creargli problemi, metti mai. Alì è un iraniano che da giovane è stato in Italia, studente di Architettura, poi è tornato in patria. Ammette: le donne non sono contente del velo, sono costrette a indossarlo per uscire, a casa sembra di vivere in un altro paese.
La folla alle manifestazioni per commemorare Khomeini? La gente ci va perché si mangia gratis. Del resto, gli stipendi sono quelli che sono: 150, 200 euro al mese. Sì, c’è il sussidio per il pane, l’acqua, la benzina (che costa 25 centesimi di euro al litro: carissima, a sentire gli iraniani), ma il sussidio lo danno a tutti, anche a chi non ne avrebbe bisogno perché all’epoca aveva fatto domanda. E comunque tutti si cercano un secondo, terzo lavoro: tassisti, elettricisti, tuttofare. Se si è insegnanti, si danno ripetizioni private.
I ricchi non mancano, a Teheran l’anno scorso sono state importate - mi racconta - 600 Maserati. Tant’è, tutti aspettano che finiscano le sanzioni internazionali, che si riaprano le frontiere, che l’economia cominci a volare. Sarebbe una manna anche per gli stranieri: chi apre un’attività in Iran paga subito una imposta forfettaria, non ha la contabilità che abbiano noi, dopodiché si scorda le tasse per 10 anni.
Capito perché sono tutti lì a osservare gli sviluppi delle trattative con il gruppo 5+1? Ma c’è un problema, dicono qui: la corruzione. E nei regimi anche la corruzione ha standard diversi da quelli delle democrazie: più elevati. 

Volevo un tappeto 32.

RIENTRO - Aeroporto di Teheran, aspettiamo di imbarcarci alla volta di Istanbul, scalo tecnico per il rientro in Italia. Le norme sulla sicurezza valgono anche in Iran, niente liquidi nel bagaglio a mano. Però l’acqua si può comprare al bar interno dell’aeroporto. Esattamente come ho fatto a Venezia prima di partire: al Marco Polo mezzo litro di acqua minerale naturale 2 euro e 10 centesimi. Qui, per mezzo litro di minerale, mi chiedono 500 Rial. Sono 0,01 euro. Un centesimo.

Volevo un tappeto. Epilogo

DIECI COSE IN ORDINE SPARSO

1 - L'Iran Stato è una cosa, il popolo iraniano un'altra.

2 - La percezione che si ha a occidente dell'Iran è condizionata - e non potrebbe essere altrimenti - dal regime degli ayatollah e, diciamolo, dai suoi crimini, ma non aspettatevi di vedere impiccagioni in piazza e boia ad ogni angolo di strada. Il Paese si sta aprendo, ma il processo è lento.

3 - Il processo è lento anche perchè quasi tutti trovano il loro modo di vivere tra le pieghe della legge islamica. Aggirandola. La vita pubblica è del tutto diversa dal privato. Nessun Paese è come appare: l'Iran di più.

4 - Se viaggiate non pretendete di avere la verità in tasca come quel tale che vantava il primato assoluto della cultura occidentale. Avrete molto da imparare.

5 - Se viaggiate con vostro marito e a vostro marito non piacciono le svedesine slavate ma il suo ideale di donna è chiaramente mediterraneo e con i lineamenti forti (qui addolciti magari da un interventuccio al nasino), tenetelo d'occhio, oppure non portatelo in Iran.

6 - Se vi piacciono i dolci, attenti alla linea: quelli iraniani sono traditori.

7 - Se cercate un tappeto, andate in Italia dal vostro negoziante di fiducia. Ma non rinunciate a una visita - anche di più - nei bazar di Esfahan.

8 - A cosa serve il velo? Anche a tapparsi bocca e naso nei bagni.

9 - Occhio al traffico. Non esistono teoremi scientifici in proposito, ma l'esperienza insegna che il concetto di disciplina al volante è anche questione di latitudine: più ci si avvicina all'equatore più diventa labile. Ricordate, Napoli è molto più a nord di Teheran.

10 - Cosa dimenticare? Ecco, l'architettura moderna, ammesso che si possa definire così. Sembra proprio che vada di moda l'usa e getta, una sorta di  pret-a-porter edilizio: si costruisce alla rinfusa e, dopo qualche anno, si rifá seguendo gli stessi principi. A cazzo, scusate il francesismo.

 

P.S. Se ora vi sentite circondati da affascinanti e misteriose odalische accompagnate da uomini sciatti con brache di due taglie più larghe e ascella pezzata, rilassatevi. Non è un sogno, non è lo stress, quello l'avete lasciato in Italia. Siete proprio arrivati in Persia. Buon  viaggio.

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